CONTRATTI DI MUTUO E LEASING: che cos’è la clausola floor? | Studio Legale Scavo avvocato bari

CONTRATTI DI MUTUO E LEASING: che cos’è la clausola floor? | Studio Legale Scavo avvocato bari

Nell’ambito dei contratti di mutuo (e dei contratti di leasing) a tasso variabile molto spesso le banche prevedono l’apposizione della cd. clausola “floor” (letteralmente “pavimento”), che configura un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono scendere, anche laddove si verifichi una sensibile riduzione dei tassi di interesse di periodo.

In altre parole, la clausola floor prevede che, per tutta la durata del mutuo o del leasing, il tasso applicato dalla banca non potrà mai essere inferiore ad una percentuale determinata.

La funzione di tale clausola è evidentemente quella di salvaguardare la remuneratività, derivante dal rapporto, della banca mutuante, garantendole degli interessi che siano almeno pari al valore percentuale previsto dalla clausola e, di converso, impedire al mutuatario di beneficiare a pieno di un eventuale calo di interessi durante l’esecuzione del contratto.

È evidente che, con una simile pattuizione, il rischio connesso all’alea contrattuale ricade principalmente sul mutuatario determinando uno squilibrio di diritti ed obblighi tra banca e cliente. Per questi motivi la giurisprudenza ha precisato che la clausola floor, affinché possa ritenersi legittima, deve essere necessariamente formulata in maniera chiara e trasparente.

Evidenziamo che negli anni si è fatto strada un filone interpretativo volto a qualificare le clausole floor quali strumenti derivati di natura finanziaria, e come tali riconducibili alla disciplina del Testo Unico della Finanza ed, in particolare, ai rigidi obblighi informativi in esso previsti a carico dell’intermediario finanziario. Diciamo subito che la giurisprudenza ha, pressocché in maniera unanime, escluso che la previsione di clausole di tasso floor possano comunque snaturare la preponderante natura creditizia del mutuo per fargli assumere i caratteri del derivato finanziario. Ciò, tuttavia, non vuol dire che tali clausole debbano ritenersi sempre legittime, soprattutto se all’interno del contratto non vi sia la previsione, quale potenziale contrappeso, di una clausola “cap” (letteralmente “tetto, coperchio”) che prevede un limite massimo oltre il quale gli interessi corrispettivi non possono aumentare.

In tal senso, come chiarito dalla Giurisprudenza, le clausole floor devono rispettare, per ciò che attiene alla loro formulazione, dei requisiti di chiarezza e trasparenza, al fine di permettere al mutuatario di comprenderne a pieno la portata e gli effetti; pertanto, laddove la clausola contrattuale si presenti come oscura e poco comprensibile, sarà certamente viziata e potrà essere qualificata come clausola vessatoria ai sensi dell’art. 33 del codice del consumo.

Un ulteriore profilo di criticità che può interessare le clausole floor è quello legato all’applicazione illegittima, da parte delle banche, del cd. Ius variandi, la quale si verifica ogni qual volta gli istituti di credito operino unilateralmente delle modiche delle condizioni di contratti già in essere. Infatti, può accadere che gli istituti bancari, al fine di evitare le perdite ingenerate dal repentino abbassamento dei tassi di interesse, decidano di introdurre unilateralmente le clausole floor all’interno di contratti già in corso di esecuzione. Tale condotta, come più volte evidenziato dal Collegio di Coordinamento ABF, è assolutamente contraria alla legge, ed è espressamente vietata dall’art. 118 TUB, di talché la clausola “floor” così introdotta andrà dichiarata inefficace ed una siffatta condotta esporrà la banca a plurime censure e responsabilità, anche di natura risarcitoria.

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